lunedì 17 agosto 2009

Per non dimenticare mai Marialuisa Cortese...21 anni



http://giugioni.ilcannocchiale.it/post/1120122.html

8 agosto 2006

Il Poli-killer di Messina


La settimana scorsa un'altra ragazza è morta al Policlinico di Messina.
Ormai solo un pazzo può parlare di "fatalità". C'è qualcosa che non funziona nella sanità siciliana. Più di qualcosa.L'ultimo caso, quello della povera Maria Luisa Cortese rende tutto ancora più assurdo. Anche Maria Luisa è morta per complicazioni dovute all'anestesia. Lo stesso motivo che causò la morte del piccolo Davide Campo. Assurdo, dicevamo. Assurdo perchè tra gli anestesisti di Maria Luisa vi erano le stesse persone che hanno "curato" Davide Campo...
"Speriamo che la sua morte serva a qualcosa" si era detto.La morte di Davide Campo non è servita a niente.Servirà a qualcosa la morte di Maria Luisa?Ma è mai possibile che persone sotto inchiesta continuino ad operare?
Una storia che ha tutti gli aspetti di un incubo.

Pubblico di seguito l' articolo di di Michele Schinella dall'ultimo numero di Centonove:

Sanità.Il Polikiller
Riflettori puntati sull’Azienda sanitaria Gaetano Martino di Messina dopo la morte di Maria Luisa Cortese. Uccisa da una crisi seguita al parto cesareo. Non voluto
Determinante l’anestesia, praticata da un’equipe messa già sott’inchiesta.
Seppellire i propri tigli è l’evento più doloroso che possa capitare. Solo chi lo vive può comprenderlo. Pensare che Maria Luisa se ne sia andata perché dei medici hanno fatto male il loro lavoro rende il dolore rabbia. Finché non sapremo la verità non ci potremo dare pace». A Giuseppe Cortese e alla moglie, la verità non permetterà di riabbracciare la figlia Maria Luisa. E la verità non darà a una bimba nata orfana, Antonella Luisa, la madre che l’attendeva con trepidazione per porla al proprio seno. La verità non sarà capace di restituire ai suoi affetti, al suo compagno Luciano, una giovane di 21 anni morta in una sala operatoria del reparto di Ostetricia del Policlinico Universitario di Messina, nel dare alla luce, con parto cesareo, una nuova vita. Tuttavia la verità consentirà, forse, di dare una risposta alla giustizia. Se mai, alla verità, si riuscirà a giungere.
IN CERCA DI UN PERCHE. E’ già trascorsa una settimana dal giorno della tragedia e, questa è l’impressione, non sarà semplice stabilire perché, per Maria Luisa, il 27 di luglio è divenuto l’ultimo giorno di vita. Non sarà semplice accertare se i medici (e quali) hanno commesso un qualche errore o se, come ha dichiarato il direttore generale facente funzioni del Policlinico, Giovanni Materia, gli astri ci hanno messo lo zampino. Il compito della magistratura e dei consulenti tecnici si è fatto particolarmente arduo per il verificarsi di un fatto inquietante.
IL GIALLO DEI DATI. La registrazione dei dati relativi ai parametri vitali (importante per la comparazione con quanto appuntato sulla cartella anestesiologica) che l’apparecchio di anestesia effettua nel corso di ogni intervento chirurgico è andata persa. Tutto cancellato. Ma come è stato possibile? ‘L’apparecchio è di ultima generazione e da quanto mi è stato riferito è risultato perfettamente funzionante. Possiede un dispositivo di registrazione digitale. Se non viene messo in stand by la registrazione continua e si cancellano via via i dati già acquisiti’, spiega il consulente tecnico della famiglia Cortese, Bondi. «Ritengo - aggiunge - che la persona a cui è stata affidato l’apparecchio dopo il sequestro disposto dalla magistratura abbia omesso di porlo in stand by». «Un non addetto ai lavori - conclude - questo non lo sa ma un operatore sanitario, in specie se anestesista, lo sa benissimo». La notizia ha immediatamente messo in fibrillazione il procuratore della famiglia Cortese, Borzì. «Chiederemo subito—sottolinea il legale - che il magistrato titolare dell’inchiesta faccia luce su questa inquietante circostanza. Anche perché a un familiare della donna morta è stato riferito da un medico del reparto di ostetricia che fino alle 23 della notte nella sala operatoria già sequestrata sarebbero stati presenti alcuni medici anestesisti». L’esame autoptico condotto nella giornata di lunedì ha detto con certezza solo che la morte è riconducibile a un blocco respiratorio. Saranno ora determinanti le indagini istologiche, esame delle cartelle cliniche e testimonianze.
UNA SERIEDI ANOMALIE. Quale sarà il risultato degli accertamenti medico legali, gli eventi che hanno scandito la tragica giornata del 27 presentano alcune gravi anomalie. Maria Luisa, si ricovera il 25 nel reparto dove opera l’ostetrico che la segue nel corso dei nove mesi. Per il 27 viene fissato il parto naturale pilotato. Nella mattinata però, succede qualcosa. Il parto, a pilotarlo, neanche si inizia, I medici si accorgono, solo quella mattina, di una sproporzione feto-pelviCa. Ritengono sia necessario procedere a parto cesario. Maria Luisa non ha le contrazioni, la nascitura è in posizione. Non vi è alcuna sofferenza fetale e si è ancora nella 4oesi- ma settimana di gravidanza. Nonostante ciò, si decide di intervenire subito. Per farlo è, però, necessario dichiarare l’intervento urgente. Solo così si può ottenere la disponibilità degli anestesisti. Ma la dichiarazione di urgenza attiva un percorso speciale. Se l’intervento è urgente, allora, non si può somministrare, secondo le cadenze orarie prestabilite, il protocollo terapeutico di prevenzione delle reazioni allergiche che a Maria Luisa era stato prescritto, in considerazione dell’allergia manifestata da piccola ad un antibiotico, nell’eventualità di un’anestesia. Perché si è dichiarato urgente un ìntervento che non lo era? «Operare in urgenza è diventata una prassi. Una prassi che aumenta i rischi. Non lo si fa tanto per ragioni economiche quanto per non impazzire dietro i tempi fisiologici delle patologie. Nei reparti di Ostetricia, poi, a questa prassi, per i medesimi motivi, si aggiunge quella del cesario», spiega un dirigente medico. Maria Luisa entra in sala operatoria intorno alle 13 e 30. Si procede prima ad un’anestesia spinale che non fa effetto, e poi a quella totale. Quando uno dei due chirurghi incide per estrarre il nascituro, intorno alle 14 e 15, Maria Luisa è gia in sofferenza respiratoria, Il sangue si presenta inscurito. Il chirurgo lo comunica all’anestesista e procede all’estrazione della bimba che, in buonissime condizioni di salute, alle 14 e 35 circa, i parenti si vedono passare dinanzi. Solo dopo cinque minuti, alle 14 e 40, scatta l’emergenza con infermieri, medici e portantini che corrono all’impazzata. Che fa l’anestesista nel lasso di tempo che va dal momento in cui insorge la crisi respiratoria a quando scatta l’emergenza rianimatoria? «Si rivolga alla Procura. Le cose non sono andate come avrebbero dovuto»,ha detto, uscendo dalla sala operatoria, uno dei due chirurghi al padre di Maria Luisa. La morte di Maria Luisa ha sollevato altri gravi e inquietanti interrogativi. Da subito. Da quando si è sparsa l’indiscrezione, poi confermata, che dell’équipe di sala operatoria faceva parte la stessa anestesista rinviata a giudizio il 27 aprile scorso, perla morte del piccolo Davide Campo, avvenuta il 19settembre2005, in un’altra sala operatoria del Policlinico nel corso di un intervento di appendicectomia: Rossana Panasiti.
L’OMBRA DI PANASITI. Il suo nome ormai è sulla bocca di tutti. La giovane anestesista, classe 1973, assunta quattro giorni prima con contratto annuale, era da sola il 19 settembre 2005 a garantire le funzioni vitali di Davide. E si è trovata ancora una volta da sola a garantire quelle di Maria Luisa. L’altra anestesista, iscritta nel registro degli indagati, è intervenuta quando era già scattata l’emergenza: questo è ormai certo. «In quella sala operatoria non ci doveva essere», si sente ripetere nei corridoi e in ogni stanza del Policlinico.
DOMANDE SENZA RISPOSTA. Ma l’allora Direttore sanitario Giovanni Materia non aveva garantito che l’anestesista in questione «sarebbe stata impiegata in compiti che escludono una sua attività autonoma e diretta in sala operatoria?». Non si era stabilito che, anche a sua tutela, Rossana Panasiti dovesse sempre essere accompagnata da un’anestesista più anziano? E, se così era, perché non è stato? Giovanni Materia a queste domande ha preferito non rispondere. Le stesse, angoscianti domande, si potrebbero rivolgere al Direttore dell’Unità operativa di Anestesia, cui la Panasiti appartiene. Giovanni Materia promette ora che «l’Azienda Policlinico, se emergeranno responsabilità colpose, procederà alla risoluzione del contratto di lavoro e alla costituzione di parte civile nel giudizio penale». Subito dopo la morte di Davide, all’esito delle prime indagini della commissione interna, il Direttore generale, con provvedimento del 28 settembre 2005, dispose l’avvio del procedimento diretto alla risoluzione del contratto e alla sospensione cautelare per un mese dell’anestesista. Il mese trascorse, le indagini andarono avanti, la perizia mise in rilievo gravi responsabilità dell’anestesista, che venne rinviata a giudizio (e, il Policlinico, non risulta tra le parti civili). Intanto, del procedimento amministrativo si perde ogni traccia. Tenta di rinvenirla, la traccia, il legale della famiglia Campo. A specifiche richieste gli si risponde che non appena si assumeranno decisioni gli verranno comunicate. Sta ancora aspettando. Nel frattempo, Rossana Panasiti partecipa a una nuova selezione per il reclutamento di medici anestesisti. Risulta la prima e si guadagna il diritto a un nuovo contratto annuale rinnovabile per altri tre. E continua a svolgere il suo lavoro.
LA TRAGEDIA RINNOVATA. La madre di Davide Campo questo non l’ha mai accettato. Lei, che la tragedia l’ha vissuta sulla propria pelle non perdeva occasione, per manifestare la sua indignazione. «Mio figlio ormai è morto. Vorrei, almeno, che la sua morte servisse a impedir nuove assurde morti» diceva, inascoltata, la signora Rosaria. «La morte di Davide non è servita a nulla», andava sussurrando, sconsolata, nel corso delle esequie funebri di Maria Luisa.

domenica 16 agosto 2009

Per non dimenticare mai Carlo Gianfranco Pigliacampo..51 anni







Gli dissero è "Solo influenza", ma è morto in corsia


URBINO - I medici gli riconoscono una influenza, muore in corsia dopo 24 ore di andirivieni dall'ospedale e di sofferenze per problemi cardiovascolari. Carlo Pigliacampo, cinquantunenne di Tavoleto, tecnico per la sicurezza alla Simam di Senigallia, è morto nell'ospedale di Urbino alle 9 del 31 dicembre scorso dopo essere stati ricoverato due volte. Il 3 gennaio l'autopsia ordinata dalla pm Simonetta Catani, che ha aperto un fascicolo. Una vicenda che ha lasciato incredula la comunità di Tavoleto, i colleghi di lavoro di Senigallia e i tanti amici della Croce Rossa e della Protezione Civile dove Carlo Pigliacampo svolgeva volontariato. La famiglia vuole giustizia e così si è rivolta al Codacons regionale rappresentato dall'avvocato di Senigallia Corrado Canafoglia. "La mattina del 30 dicembre - spiega l'avvocato - intorno alle 10.30, Carlo Pigliacampo accusa un forte dolore al petto e al braccio sinistro. La moglie, Fiorella Angeli, chiama il medico di famiglia e il 118 di Urbino. Il medico di base gli diagnostica una problema cardiovascolare e così gli somministra una pastiglia apposita. Poco dopo arriva il 118 che lo trasferisce al pronto soccorso dell'ospedale urbinate. L'uomo non ha febbre ma forti dolori al torace e probabilmente la pasticca consigliatagli dal medico di famiglia ha attenuato quel dolore. Sono le quasi le 11. Qui Carlo Pigliacampo rimane sino alle 17.30, quando i medici constatano una influenza dovuta ad un colpo di freddo e gli prescrivono medicinali per questa patologia. Fiorella Angeli presta servizio volontario nel reparto di chirurgia all'ospedale di Rimini. Più volte - afferma infuriata - ho fatto presente ai medici che mio marito poteva avere un problema cardiaco, ma questi non mi hanno ascoltato ed hanno confermato l'influenza. Carlo Pigliacampo viene dimesso alle 17.30 e torna a casa. "Alle 24 del 30 dicembre - racconta Canafoglia - l'uomo accusa gli stessi dolori della mattina, ma ancora più forti e così la moglie chiama il 118. Di nuovo al pronto soccorso, e per la precisione in astanteria, dove rimane sino alle 8 del mattino del 31 dicembre. Alle 9 circa i sanitari decidono di sottoporlo ad un esame diagnostico al torace. Mentre torna dalla sala esami Carlo Pigliacampo mostra dolori lancinanti al petto e poco dopo muore in corsia. L'autopsia è stata eseguita il 3 gennaio e gli accertamenti autoptici sono ancora in corso. Dalle prime indiscrezioni la morte dell'uomo sarebbe legata a problemi cardiovascolari. "Non vogliamo certo fare processi prima che giungano i risultati degli esami ordinati dalla Procura, certo è però che le modalità, se confermate, in cui è morto il signor Pigliacampo ci lasciano perplessi. Per questo motivo assicuriamo la nostra presenza al fianco della famiglia perché si accerti la verità. Sulla possibilità di una azione legale l'esponente Codacons non lascia spazio a dubbi. Sì, ci riserviamo di costituirci parte civile nel momento in cui fossero individuate responsabilità penali di quanti sono intervenuti.

Per non dimenticare mai Elio Simone, 67enne

http://www.informazione.it/z/11E4205C-07D6-4EAE-A93F-47B4B8FF97B5/LO-TRASFERISCONO-E-MUORE-INDAGATI-37-CAMICI-BIANCHI-Lecceprima-it



Trentasette medici, fra cui due primari, indagati con l’accusa di omicidio colposo per la morte di Elio Simone, pensionato, 67enne di Lecce, deceduto il sei aprile scorso nel reparto di pneumologia all’ospedale di San Cesario. Sul registro degli indagati compaiono i nomi dei “camici bianchi” di due interi reparti: lo staff della terapia intensiva del “Vito Fazzi” e i medici del reparto di pneumologia del nosocomio di San Cesario.

La Procura vuole approfondire le cause del decesso per il quale i figli del pensionato – assistiti dall’avvocato Roberto De Matteis - hanno chiesto ed ottenuto i necessari accertamenti sporgendo denuncia. Il pm Antonio De Donno ha disposto per domani mattina l’autopasia sul corpo del pensionato affidata al medico legale Roberto Vaglio. Le perplessità dei famigliari si concentrano sulle motivazioni che hanno convinto i medici a trasferire il proprio congiunto da un reparto attrezzato e di grande monitoraggio ad un centro privo di qualsiasi specializzazione.

Nel febbraio scorso Simone venne sottoposto ad un delicato intervento chirurgico al cuore eseguito dall’equipe medica dell’ospedale “Vito Fazzi”. L’operazione venne effettuata con successo tant’è che la degenza di Simone scivolò senza particolari intoppi. Come segnalano nella loro denuncia i famigliari, il pensionato venne trasferito - contro il parere degli stessi parenti e di qualche medico dello stesso reparto – a San Cesario. E per i figli, il proprio congiunto non era ancora nelle condizioni fisiche per lasciare un centro così specializzato ed essere “dirottato” a San Cesario.

Nella notte precedente al decesso, a quanto se ne sa, Simone aveva accusato una crisi e i medici erano stati costretti ad attaccargli un respiratore artificiale. Poi, il decesso nella notte tra il 5 e il 6 aprile per un arresto cardiocircolatorio. Ad accorgesi dell’improvvisa dipartita è stata la moglie, la mattina successiva. Per ora, come detto risultano indagati 37 medici. Si tratta di un atto dovuto del pubblico ministero che si è mosso con un intervento “a pioggia” per focalizzare al meglio eventuali responsabilità. Dopo gli esiti dell’autopsia, il gran numero di indagati subirà una fisiologica scrematura.
Francesco Oliva

Per non dimenticare mai Maria Leoni..54anni

http://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/cronaca/2009/24-giugno-2009/mori-fila-pronto-soccorso-indagata-dottoressa-ospedale-maggiore--1601499278497.shtml

Morì in fila al Pronto soccorso, indagata
una dottoressa dell'Ospedale Maggiore
Maria Leoni era una disabile psichica: le ipotesi di reato sono omissione di atti d’ufficio e omicidio colposo
Il Maggiore

Il Maggiore

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NOTIZIE CORRELATE
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Disabile muore al Pronto soccorso del Maggiore

C’è un indagato, una dottoressa del pronto soccorso dell’ospedale Maggiore, nell’inchiesta del pm di Bologna Antonello Gustapane e dei carabinieri del Nas sul decesso di Maria Leoni, la disabile psichica di 54 anni morta il 19 maggio mentre era in attesa in attesa al pronto soccorso con una crisi respiratoria. Il medico, A.M.C., difesa dall’avvocato Alessandro Cristofori, fu la prima a vedere la paziente. Le ipotesi a suo carico sono di omissione di atti d’ufficio e omicidio colposo. Oggi è stata convocata nella caserma del Nas per un interrogatorio. In base alla ricostruzione fatta dai militari del Nas la struttura che ospitava Maria Leoni ha chiamato il 118 alle 14.04, e l’ambulanza è arrivata alle 14.17. Caricata alle 15.06 sul mezzo, è arrivata al Maggiore alle 15.20 e il triage è stato completato alle 15.31. Assegnato il codice di ingresso giallo, la donna è stata visitata alle 16.05 dal medico finito indagato, e alle 16.59 da una psichiatra. Alle 16.08 era stata inoltre sottoposta a elettrocardiogramma e poco prima a esame del sangue. Alle 18 la donna era andata in arresto cardio-circolatorio; sono state tentate manovre rianimatorie. Gli assistenti delle cooperativa Dolce che l’avevano accompagnata al Maggiore avevano raccontato delle ore di attesa senza che nessuno visitasse Maria, e che due dottoresse avevano visto la signora senza però farle una vera visita. L’ipotesi di omissione è relativa al fatto che non sarebbe stato messo il codice giusto di entrata, che non sarebbero state fatte le prime valutazioni con la necessaria urgenza, che non ci sarebbe stato un intervento di uno specialista, visto che al signora accusava una crisi respiratoria.


24 giugno 2009

venerdì 14 agosto 2009

Per non dimenticare mai Valentina
























http://blog.libero.it/UNALUCEBLU/7429465.html?ssonc=25217587


LA STORIA DI VALENTINA
Ai primi di giugno Valentina accusa un forte mal di testa prima di fare il saggio di danza di fine anno scolastico....dopo pochi giorni avrebbe affrontato con successo la maturità classica. Mamma e papà la portano immediatamente al Pronto Soccorso dell''Ospedale San Paolo di Savona, perché si rendono conto che non è un mal di testa normale. Valentina non ne aveva mai sofferto. Viene dimessa senza che venga fatto alcun tipo d'esame , tanto meno accertamenti strumentali approfonditi come, per esempio, una TAC.
Una sera di fine ottobre,di nuovo un terribile attacco li fa tornare al Pronto Soccorso. Il malore viene ancora una volta scambiato per una banale cefalea,nonostante le fitte,la nausea e i formicolii. Valentina non si reggeva in piedi ma...era solo stress. La curano con ansiolitici. Segue, dopo 15 giorni,un appuntamento anche al Centro Cefalee.
A fine novembre, di notte,Valentina si sente di nuovo male. I medici del 118 intervengono subito e percepiscono la gravità della situazione. La portano,ormai incosciente, all''Ospedale Santa Corona di Pietra Ligure dove viene operata d' urgenza...Ma per Valentina è troppo tardi...non c'è più niente da fare;l'intervento non la salva. Muore il 1 dicembre 2005 per aneurisma cerebrale.
Se nei precedenti ricoveri non fossero stati sottovalutati i sintomi e l'aneurisma fosse stato sospettato in tempo Valentina sarebbe ancora viva.
In quel doloroso momento i genitori di Valentina hanno acconsentito all''espianto degli organi e più di sette persone sono vive grazie a lei.
Purtroppo l'informazione che si ha su donazione organi non è corretta e il contraddittorio non c'è mai! La mamma di Valentina ha parlato anche di questo durante l'udienza processuale che si è appena svolta l'8 aprile 2009.
L'articolo di giornale del Secolo XIX illustra chiaramente cosa è successo anche a questo proposito! Se volete saperne di più contattatela ...
A tutt'oggi i medici lavorano tranquillamente, senza neanche essere stati sospesi per un giorno,come invece capita alla maggior parte dei lavoratori per sbagli meno gravi.
“Questa è la prassi in qualsiasi caso di errore medico” : nell'immediato non ci sono provvedimenti disciplinari o simili che scattano automaticamente.E si sta andando verso la depenalizzazione...
Non sarà una buona soluzione per i cittadini...
tutto sarà delegato a Commissioni costituite da medici e solo le Assicurazioni degli Ospedali risponderanno e risarciranno eventuali errori medici!
La Magistratura aveva aperto un'inchiesta........ i medici sono stati rinviati a giudizio solo il 16 ottobre 2008.
Ci sono voluti più di tre anni perchè si arrivasse al Processo e prima di procedere nei confronti dei medici è stata voluta a tutti i costi una perizia super-partes che non lasciasse dubbi sull'errore commesso. La conclusione è stata che Valentina avrebbe potuto salvarsi senza conseguenze al 98% se solo si fosse fatta una semplicissima Tac.
Ma non è bastato!
Evidentemente non tutto, ancora una volta , è andato per il verso giusto...
Non si sono considerati durante le indagini aspetti importanti che non dovevano essere sottovalutati: Paola e Giorgio,infatti, sono stati ascoltati solo l'8 aprile 2009!
Sono occorsi più di 3 anni perché si ascoltasse il racconto completo dai diretti interessati!!
Troppo tardi per coinvolgere tutti i responsabili dell'imperdonabile errore…. era prevedibile .. e si sa a chi dover dire “ Grazie ”
L’alibi del “ non mi ricordo “ è stato sovrano nelle testimonianze degli infermieri durante l’udienza del 3 giugno 2009.
I medici, completamente insensibili alla morte di Valentina , preoccupati solo di dare una mano ai poveri colleghi, non hanno risposto chiaramente a molte domande e soprattutto hanno dichiarato che le Tac a secco sono inutili...meglio i "medici sensitivi" che hanno visitato Valentina senza fare alcun tipo di esame!!! Il bel risultato è evidente a tutti!!!
Il plotone dei medici legali sarà ascoltato il 10 luglio 2009 ( ancora una volta abbiamo dovuto subire un nuovo rinvio dell'udienza che era stata fissata da tempo al 17 giugno!)
C'è solo da chiedersi : Come fanno emeriti professionisti a sostenere tesi tanto diverse tra loro??? La medicina non è una scienza esatta, ma fino a un certo punto...Di fronte all'evidenza non si può continuare a parlare di semplice mal di testa perchè ci risulta che le persone vanno al pronto soccorso con questo sintomo solo se il dolore è significativo...
Per Valentina i campanelli di allarme sono stati due,due pugnalate, ma molti incompetenti non l'hanno capito...e quello che fa più male è che diverse persone li considerano ancora bravi!!!...e i medici li considerano ancora colleghi!!!
Ci si riempie la bocca col "non sottovalutare i sintomi" e "fare prevenzione", ma poi, al lato pratico, puoi solo sperare nella fortuna!

La prossima udienza è stata fissata per il 14 ottobre 2009. Il giudice sentirà ancora un perito di parte dei medici (quello che non si è presentato!) e poi deciderà se incaricare altri periti per una nuova perizia super-partes. Ma quante ne vogliamo fare ancora??? E di cosa si vuole disquisire se a Valentina non è stato fatto neanche un esame del sangue??? Niente di niente ! Qualcuno ha sbagliato sia nella sanità che nella giustizia...o no???

Per non dimenticare mai Eva Ruscio...16 anni
















Catanzaro, 24 lug. (Adnkronos) - La Regione Calabria si costituira' parte civile nel processo per la morte di Eva Ruscio, la 16enne di Polia (Vibo Valentia) deceduta il 5 dicembre 2007, dopo tre giorni di ricovero all'ospedale ''Jazzolino'' di Vibo Valentia a causa di un ascesso peritonsillare. La delibera e' stata approvata oggi dalla giunta su proposta del presidente Agazio Loiero.

''Come Regione - ha detto Loiero - siamo interessati ad accertare tutta la verita'. Cosi' come piu' volte avevo assicurato alla famiglia, la Regione sara' presente con i suoi legali al processo pendente davanti al Tribunale di Vibo Valentia''. Lo scorso 29 giugno il gup ha rinviato a giudizio cinque medici del reparto di otorinolaringoiatria, che avrebbero agito scorrettamente nella manovra di una tracheotomia che ha causato la morte della giovane. Il processo iniziera' il 26 ottobre

Per non dimenticare mai Patrizia Rodi..33 anni













http://www.bresciaoggi.it/stories/Cronaca/68274_morta_dopo_loperazione_processo_per_due_medici/

http://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/17_autopsia/



Morta dopo l'operazione
processo per due mediciL'UDIENZA. Giudicati innocenti tre sanitari. Gli altri saranno in aula dal 30 novembre 2010

Patrizia Rodi, 33 anni, era deceduta per una laparoscopia Prosciolto il marito, accusato di avere ritardato i soccorsi
09/07/2009e-mailprint
Il pronto soccorso della clinica Sant'Anna. Patrizia Rodi, allora 33 anni, morì in seguito ad una laparoscopiaDue medici dovranno rispondere di omicidio colposo per la morte di Patrizia Rodi, la 33enne bergamasca deceduta al Civile nel gennaio 2006 dopo una lunga agonia innescata da una laparoscopia eseguita nel settembre dell'anno precedente al S. Anna. Lo ha deciso il gup Enrico Ceravone al termine dell'udienza preliminare che si è svolta ieri al Palagiustizia cittadino. Al processo, che prenderà il via il 30 novembre 2010, gli imputati saranno, a quanto si è appreso, il sanitario della clinica cittadina che operò la donna e quello che acconsentì alle sue dimissioni, assistiti rispettivamente dagli avvocati Ilaria Crema e Massimo Jasonni. È stata invece emessa sempre ieri l'ordinanza di non luogo a procedere per altri tre operatori che avevano partecipato all'intervento.
NON DOVRÀ TORNARE in aula nemmeno il marito della donna, Massimiliano Tomezzoli, che ha scelto il rito abbreviato. L'uomo era finito tra gli indagati per omicidio colposo, accusato di avere soccorso e riportato troppo tardi la moglie in ospedale. Il pm Silvia Bonardi aveva chiesto per lui una condanna ad un anno e sei mesi. Il gup lo ha ritenuto innocente. Tomezzoli è anche parte in causa per aver presentato una denuncia in Procura di «omicidio colposo causato da grave negligenza medica».
Patrizia Rodi si era sottoposta alla laparoscopia esplorativa, intervento di routine, nel settembre del 2005 per capire come mai non riuscisse ad avere un figlio. Durante questo intervento, si scoprì poi, le era stato perforato l'intestino. Di nuovo accompagnata in clinica in preda ai dolori, Patrizia fu sottoposta ad un ulteriore intervento che le avrebbe provocato uno choc settico. Dopo un'agonia di quattro mesi, morì nel reparto di Rianimazione dell'ospedale Civile,
I LEGALI della difesa sono comunque fiduciosi. Per Jasonni «siamo in una fase di udienza preliminare, e il codice prevede che nel dubbio si vada comunque a giudizio». Chiarisce che serviranno consulenze perché è un processo di natura prettamente tecnica, ma alla fine le cose si sistemeranno.
Incisiva Crema: «Ancora oggi - spiega - allo stato delle cose, le risultanze delle consulenze del pubblico ministero e di parte escludono sin da questa battuta una responsabilità e una colpa grave. Ritengo dunque che già immediatamente si potesse addivenire ad un proscioglimento». Ciò detto, l'avvocato non si stupisce del rinvio a giudizio ma «sicuramente dell'assoluzione del marito poiché le perizie individuano nel ritardo dei soccorsi la causa principale dell'effetto morte».

Natalia Danesi

Natalia Danesi

Per non dimenticare mai Marika Busetto..6 anni

http://www.gazzettino.it/articolo.php?id=66855&sez=NORDEST

http://www.oggitreviso.it/sbaglio-prescrizione-pediatra-processo-omicidio-17123

Padova. Farmaco sbagliato, bimba
morta a 6 anni: medico a giudizio
Dottoressa specializzanda somministrò a una piccola trevigiana una dose di medicina 20 volte superiore al dovuto

di Lino Lava
PADOVA (22 luglio) - All’epoca dei fatti la giovane dottoressa era medico specializzando del quarto anno della scuola di specializzazione in pediatria e prestava la sua attività professionale e di formazione nel reparto delle Malattie metaboliche ereditarie del Policlinico.

E aveva in cura una bambina di sei anni, affetta da una malattia metabolica congenita. La piccola, Marika Busetto, abitante a Barbisano di Pieve di Soligo, in provincia di Treviso, è morta il 23 giugno 2005. Era molto malata e pesava solo 17 chili. Ma per il pubblico ministero Orietta Canova la bambina è deceduta a casa di un errore della dottoressa specializzanda. Le avrebbe somministrato una dose di medicina venti volte superiore a quella che doveva dare alla piccola malata.

La dottoressa Luisa Freo, trentatreenne, residente in città, è stata rinviata a giudizio dal giudice dell’udienza preliminare Cristina Cavaggion. L’imputata, difesa dall’avvocato Lorenzo Locatelli, dovrà comparire davanti al giudice monocratico l’11 dicembre prossimo. I familiari della piccola si sono costituiti parte civile con l’avvocato Pero Barolo.

L’inchiesta della Procura è stata aperta all’indomani della morte della bambina trevigiana. Quattro i medici che il sostituto procuratore Canova aveva iscritto nel registro degli indagati. Tre dei sanitari che avevano in cura Marika sono stati prosciolti durante le indagini. I consulenti del pubblico ministero sostengono che la responsabilità della morte della paziente sarebbe della giovane dottoressa, che si stava specializzando in pediatria.

Marika Busetto era in cura fin dalla nascita. In quel periodo i genitori l’avevano ricoverata perchè la figlia aveva episodi di vomito ripetuto "in corso di virosi respiratoria", come si legge nel capo d’imputazione. Alla bambina doveva essere somministrato oralmente ogni giorno un farmaco salvavita. Undici grammi di arginina. La medicina era proporzionata al suo peso di soli 17 chili. Ebbene, a causa del vomito continuo, la dottoressa Freo decise per un’endovenosa con arginina cloridrato. Secondo l’accusa la pediatra ha sbagliato a fare i calcoli tra i mirigrammi del farmaco giornaliero e il peso dalla piccola paziente. Inoltre, si legge nel capo d’imputazione che l’imputata ha errato «anche a volere ritenere che vi fosse l’opportunità - data la virosi in corso che poteva facilitare uno scompenso metabolico - di una dose di carico di arginina nelle prime due ore e poi una riduzione nelle ore successive, nella prescrizione del farmaco senza alcuna modifica di trattamento, dopo le prime due ore, con ciò non stabilendo un corretto protocollo di somministrazione del farmaco. Cosichè tra le 20,15 del 20 giugno 2005 e le 4,10 del 21 giugno 2005 veniva somministrata (in esecuzione della sua prescrizione) una quantità di arginina superiore a circa venti volte la dose prevista».

I consulenti del pubblico ministero sostengono che la "somministrazione errata del farmaco" ha causato alla piccola paziente iperammoniemia, grave squilibrio del circolo (ipotensione) e della funzionalità renale con conseguente acidosi e iperkaliemia fino allo scompenso metabolico con grave edema cerebrale.

Per non dimenticare mai i Gemellini..UCCISI prima di nascere

http://www.oggitreviso.it/sbaglio-prescrizione-pediatra-processo-omicidio-17123



PARTO GEMELLARE FINITO IN TRAGEDIA: INDAGATI DUE MEDICI
Dovranno rispondere di interruzione colposa di gravidanza


Vittorio Veneto - Hanno aspettato troppo prima di decidere di praticare un taglio cesareo alla loro paziente. Per questo due medici dell'ospedale di Costa dovranno rispondere di interruzione colposa di gravidanza.

I fatti risalgono a sette mesi fa: una donna incinta di due gemelli dovette anticipare il parto naturale a causa di alcune complicazioni nella gravidanza, che avevano causato sofferenza a uno dei due nascituri. Il suo ginecologo e il medico di guardia la notte in cui la puerpera era in travaglio decisero per il taglio cesareo. Troppo tardi, però: uno dei due bambini nacque morto. Sopravvisse il secondo gemello, una bambina.

La perizia eseguita dai consulenti del magistrato ha evidenziato che la sofferenza del piccolo nato morto era evidente dalle ecografie già da qualche giorno e che si doveva intervenire subito con un parto cesareo. Per questo ritardo il pm Iuri De Biasi ha chiuso le indagini nei confronti del ginecologo e del medico di guardia: sono accusati di interruzione colposa di gravidanza

Per non dimenticare mai Nicole Saviane..2 anni

http://www.oggitreviso.it/bambina-morta-due-medici-giudizio-11296

BAMBINA MORTA, DUE MEDICI A GIUDIZIO
L’udienza per la morte di Nicole Saviane si terrà il 6 aprile prossimo


Montebelluna – Secondo l’accusa il medico la pediatra dell’ospedale di Montebelluna, V.C., 52 anni, ed il medico di base, F.B., 43 anni, sarebbero stati negligenti nel prestare cure alla piccola Nicole Saviane, morta dopo essere stata trasportata in pronto soccorso per dei forti dolori addominali.

L’accusa è di omicidio colposo. I due medici finiranno a processo. L’udienza è fissata per il prossimo 6 aprile. La famiglia della bambina di 2 anni si costituirà parte civile. La bambina è morta il 20 giugno dello scorso anno, dopo 15 ore di agonia.

Aveva chiazze violacee alle gambe, febbre e vomito. I genitori l’avevano portata al pronto soccorso ai primi segnali di malessere. Il pediatra dell’ospedale li aveva rimandati a casa subito dopo una vista di controllo, dicendo di continuare con la somministrazione di un farmaco prescritto dal medico curante.

Una volta a casa erano iniziati i dolori addominali. I genitori avevano quindi deciso di ritornare al pronto soccorso, ma oramai era troppo tardi e la bambina era morta dopo alcune ore. Ad ucciderla sarebbe stato un batterio sconosciuto.

Per non dimenticare mai la piccola...UCCISA prima di nascere

http://www.notiziarioitaliano.it/?articolo=13464


Neonato morto: rinviati a giudizio 13 medici del “Buon Consiglio”


NAPOLI - Fu lasciata sola per oltre 12 ore, in ospedale, nonostante i numerosi sintomi della sofferenza della bimba che portava in grembo: la neonata morì, subito dopo il parto, nell'ospedale Buon Consiglio Fatebenefratelli di Napoli. La storia è quella di Nicoletta Correra, una professionista di Nola, che nell’aprile del 2005 cominciò la sua seconda gravidanza. Si trattava di una situazione del tutto naturale portata avanti con tranquillità: la donna si recava tutti i giorni nel nosocomio per monitorare il battito cardiaco. In una notte del febbraio 2006 l’inizio della tragedia: Nicoletta, alla 42° settimana di gravidanza, rilevò delle perdite ematiche, e allarmata corse in ospedale, dove venne ricoverata. Vennero eseguite due cardiotografie: i due tracciati segnalavano una frequenza cardiaca del feto inferiore alla norma. Da quel momento in poi Nicoletta, accompagnata nella sua stanza, fu letteralmente lasciata a se stessa. Alle ore 12.59 su richiesta della gestante fu fatto altro tracciato: questo confermava il dato sulla bassa frequenza cardiaca fetale. Alle 14.00 la gestante ricevette la visita del suo medico di fiducia, il dott. Pietro Iacobelli il quale, senza neppure sottoporre la gestante a una visita le riferiva che la bambina stava “ abbastanza bene” e che avrebbero deciso per l’indomani il da farsi. E questo malgrado la donna avesse espresso la volontà di procedere immediatamente a un taglio cesareo. Le perdite di sangue però non cessavano e Nicoletta chiese ed ottenne di essere sottoposta alla quarta cardiotocografia, il cui risultato fu il “solito” dato della bassa frequenza cardiaca fetale, mentre un altro dato si affacciò: non vennero rilevati i movimenti attivi fetali per ogni ora, movimenti che invece risultavano presenti nei precedenti tracciati. Dopo nulla più fu fatto. La signora fu abbandonata nella sua stanza d’ospedale, privata di ogni intervento sanitario diretto a garantirle un parto (teoricamente) sicuro. Sarebbe stata invece necessaria una reale sorveglianza, atteso che la gravidanza della donna era a rischio per i vari sintomi emersi fino quel momento.

Quella sera Nicoletta notando che nessun medico di turno si presentava per un controllo, si recò dal ginecologo di guardia chiedendo quantomeno di effettuare una nuova ecografia. Le fu risposto di no e le fu detto di attendere con serenità il suo medico per l’indomani mattina. Durante la notte, la gestante accusò forti contrazioni verso le ore 03:00 e nuovamente si recò nell’Unità Ostetrica ove venne sottoposta a nuovo tracciato, che documentava una condizione di gravissima sofferenza fetale, per cui venne deciso il taglio cesareo, che fu effettuato alle ore 4.40. L’abbandono della donna dalle ore 16.30 e sino al taglio cesareo è comprovato dalla stessa cartella clinica.
Venne comunque al mondo la piccola Maria Francesca Sofia, che, dopo due arresti cardiaci, morì, a poche ore dalla nascita. Il tempestivo intervento di sanitari, ostetriche e medici dell’ospedale Buon Consiglio avrebbero certamente evitato la grave degenerazione della sofferenza endouterina e la conseguente morte della neonata. L’assoluta mancanza di assistenza ostetrica protratta per tutta la giornata del 3 Febbraio e le gravi inadempienze dei medici ginecologi che sono intervenuti nel corso del ricovero di Nicoletta non trovano alcuna spiegazione, se si tralascia di considerare che, purtroppo per la piccola neonata, era già iniziato il week end.
Sui fatti è stata presentata una querela dettagliata, in seguito alla quale la Procura della Repubblica di Napoli (PM Liana Esposito), ha avviato una serie di indagini, servendosi anche di un consulente tecnico di ufficio. L’altro giorno dopo una lunga serie di rinvii il Giudice per l’Udienza Preliminare di Napoli dott.ssa Luisa Toscano, al termine della camera di consiglio ha rinviato a giudizio 13 dei 14 indagati. Per una posizione si procederà separatamente per via di un problema burocratico. L’accusa per tutti è quella concorso in omicidio colposo. La fase dibattimentale del procedimento comincerà davanti al giudice monocratico dott. Fabio Viparelli l’11 novembre di quest’anno. “…..– spiega Nicoletta, la mamma della piccola deceduta – …..”.

Per non dimenticare mai Claudio Salamone..18mesi

http://www.siciliainformazioni.com/giornale/cronacaregionale/59276/enna-bimbo-mesi-ospedale-condannati-medico-infermiera.htm


Il tribunale monocratico di Enna ha condannato per omicidio colposo e negligenza il medico e l'infermiera dell'ospedale Umberto I che hanno assistito il piccolo Flavio Salamone, 18 mesi, morto il 2 febbraio 2005 nel reparto di Pediatria. Il pediatra Federico Emma è stato condannato a quattro anni e mezzo, mentre quattro anni sono stati inflitti a Giuseppa La Russo, infermiera.



I due sono stati anche condannati a tre anni di interdizione dai pubblici uffici, un anno di interdizione dall'esercizio della professione, 150 mila euro di provvisionale oltre ai danni da liquidarsi in sede civile. Il piccolo Flavio era giunto al pronto soccorso con difficoltà respiratorie a causa di una bronchite. Ricoverato in Pediatria era morto dopo due giorni. "Speriamo che questa sentenza serva da monito per evitare altri casi di mala sanita", ha detto l'avvocato Antonio Impellizzeri che rappresenta i familiari del piccolo Salamone

Per non dimenticare mai la piccola Federica...4 anni









http://www2.melitoonline.it/?p=17212


http://www.meteoweb.it/cgi/intranet.pl?vetrina_clienti.vetrina_clienti_id=169&_cgifunction=search&_layout=vetrina_clienti

Chiesto il rinvio a giudizio di tre medici per la morte della piccola Federica

Reggio Calabria. È stata fissata per mercoledì prossimo l’udienza preliminare relativa alla morte della piccola Federica, la bimba deceduta il 10 febbraio del 2007 agli Ospedali Riuniti dove era stata trasferita in condizioni disperate da una clinica privata reggina.

Tre i medici indagati: M. P. B., 41 anni, chirurgo, D. Z., 49 anni, radiologo, entrambi primari della clinica privata e F. Z., 55 anni, pediatra di fiducia che aveva in cura la sfortunata bimba. Il Gup Santo Melidona dovrà decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio avanzata dal pm Danilo Riva.Per i tre professionisti, il pm ha ravvisato il reato di omicidio colposo con l’aggravante della cooperazione. Secondo i risultati delle indagini compiute dall’accusa, la piccola Federica si sarebbe potuta salvare se i sanitari avessero diagnosticato per tempo la reale patologia e, soprattutto, se non vi fossero state una serie di omissioni, tra cui non aver sottoposto la bimba ad esami di routine prima di compiere esami invasivi. A Federica fu diagnosticato un addome acuto da volvolo. La piccola, nonostante il prodigarsi dei medici del Reparto Rianimazione degli Ospedali Riuniti spirò a causa di insufficienza cardiorespiratoria conseguente ad epatite fulminante associata a nefropatia tossica dovuta alla somministrazione di dosi eccessive di paracetamolo (antipiretico e analgico). I genitori della piccola, i quali nei mesi scorsi hanno costituito un’Associazione onlus che porta il nome della figlia, si sono costituiti parte civile e sono assistiti dagli avvocati Carmelo Chirico e Lucio Strangio del Foro di Reggio Calabria. I tre medici indagati sono invece difesi dagli avvocati Francesco Albanese e Nadia Maria Aguglia del Foro di Reggio Calabria e Domenico Piccolo del Foro di Locri.
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Per non dimenticare mai Francesco Mastrogiovanni..58 anni

http://www.ilmattino.it/articolo.php?id=69419&sez=CAMPANIA
Salerno, morte all'ospedale psichiatrico
i medici: solo delle falsità



SALERNO (13 agosto) - Francesco Mastrogiovanni è deceduto per un edema polmonare provocato da un’insufficienza ventricolare sinistra. Sul suo corpo sono state riscontrate lesioni su polsi e caviglie, segno dell’utilizzo di legacci abbastanza spessi, plastica rigida o addirittura filo di ferro. Comunque, lesioni derivanti da una forte pressione esercitata con strumenti non leciti. Ma ora i medici legali della procura vorranno capire anche il motivo scatrenante di un edema polmonare che ha poi determinato l’infarto. Sono alcuni dei dati emersi dall'autopsia effettuata ieri mattina sul cadavere di Francesco Mastrogiovanni, il maestro di scuola elementare di Castelnuovo Cilento sul cui decesso indaga la procura di Vallo della Lucania.

Mastrogiovanni ricoverato il 31 luglio scorso all'ospedale San Luca in seguito ad una crisi di nervi e conseguente certificato di trattamento sanitario obbligatorio è morto dopo quattro giorni di degenza. La procura della Repubblica ha aperto una indagine, diretta dal pm Francesco Rotondo, a carico del primario Michele Di Genio e i medici Rocco Barone, Raffaele Basto, Amerigo Mazza, Annunziata Buongiovanni, Michele Della Pepa, Anna Angela Ruberto.



Ieri l’autopsia e la scoperta di profonde lesioni a polsi e caviglie. È soprattutto su quest'ultimo aspetto che si incentrano le indagini della Procura di Vallo della Lucania. Le lesioni, infatti, starebbero ad indicare l'allettamento forzato del paziente e sull'eventuale accanimento dei sanitari si incentrano le indagini. Durante l’esame del corpo, disposto dal sostituto procuratore Francesco Rotondo, è stata rilevata in effetti la presenza di profonde lesioni ai polsi e alle caviglie, dovute a uno stato di contenzione prolungato, con l’utilizzo di mezzi fisici.

Una pratica estremamente invasiva, che però nella cartella clinica di Mastrogiovanni non è mai menzionata né, tanto meno, motivata come prevede la legge. È, infatti, ammessa solo in uno stato di necessità e deve durare poche ore, fino alla terapia chimica. Mastrogiovanni, invece, secondo l’ipotesi choc all’esame degli inquirenti, sarebbe rimasto legato al letto per più giorni.

Nella sua cartella clinica, inoltre, ci sarebbe un “buco” di oltre 10 ore rispetto ai trattamenti a cui il maestro è stato sottoposto prima di morire, ovvero dalle ore 21 del 3 agosto fino alle 7,20 del giorno successivo, quando i medici del reparto ne hanno constatato il decesso. Durante l’autopsia sono stati eseguiti anche prelievi di tessuti che saranno analizzati in un centro specializzato di Napoli. I risultati potranno contribuire a chiarire il quadro clinico complessivo.

All’esame ha assistito per la procura pure uno psichiatra nominato come consulente, per la famiglia i legali Caterina Mastrogiovanni e Loreto D’Aiuto oltre al medico legale Francesco Lombardo. C’erano, poi, quasi tutti i medici indagati, il loro nutrito collegio legale e i loro consulenti, lo psichiatra Michele Lupo e il medico legale Giuseppe Consalvo. L’ipotesi di reato, di cui devono rispondere i sanitari, è omicidio colposo, salvo che dall’esame della cartella clinica e delle video registrazioni sequestrate non emergano differenti profili di responsabilità. Ad essere determinanti sono soprattutto le riprese girate nella camera di Mastrogiovanni durante il trattamento di ritenuta e subito dopo la sua morte, per verificare le azioni degli indagati.


In ogni caso l’inchiesta sembra destinata ad allargarsi all’acquisizione delle cartelle cliniche degli altri pazienti sottoposti a trattamenti psichiatrici nell’ospedale San Luca e forse in tutta l’ex Asl Salerno 3. I funerali si svolgeranno oggi alle 18,30 nella chiesa di Santa Maria Maddalena a Castelnuovo Cilento.

Puntuale la replica dei medici: «Finora sono state scritte solo falsità». È il commento di Federico Conte e Antonio Conte, avvocati di Angela Ruberto e Michele Di Genio, rispettivamente medico e direttore del dipartimento di Psichiatria dell'ospedale 'San Luca' di Vallo della Lucania (Salerno), a proposito delle notizie relative al decesso di Francesco Mastrogiovanni.

«Contestiamo quanto finora pubblicizzato a mezzo stampa perchè destituito di qualsiasi fondamento - ha detto Antonio Fasolino, insieme a Francesca Di Genio legale del primario di Psichiatria, Michele Di Genio - Il professor Mastrogiovanni è giunto in ospedale a seguito di una emanazione di un' ordinanza di 'trattamento sanitario obbligatorio' da parte del comune di Pollica. I sanitari dell'ospedale di Vallo della Lucania hanno seguito il protocollo previsto per casi come questo».

Elisabetta Manganiello

Per non dimenticare mai Alessia Sicolo...18 anni






http://magazine.ciaopeople.com/News_WorldInfo-1/Cronaca-1/Investita_in_Grecia,_muore_dopo_una_settimana_18enne_napoletana-12568




Investita in Grecia, muore dopo una settimana 18enne napoletana
Dopo sette giorni di agonia, è morta a Napoli Alessia Sicolo, 18enne del Vomero, investita a Corfù durante una vacanza con le amiche. I genitori accusano carenze nell'assistenza sanitaria degli ospedali greci

Aveva sognato a lungo quel viaggio con le amiche per festeggiare la maturità. Ma il suo primo viaggio da sola è diventato per un’amara fatalità anche l’ultimo. Alessia Sicolo, 18enne del Vomero è morta pochi giorni fa dopo essere rimasta vittima di un grave incidente stradale nell’isola greca di Corfù, meta prescelta delle sue agognate vacanze estive.

Alessia era stata investita da un’automobile il 20 Luglio scorso, mentre si trovava sul sediolino posteriore di una moto a quattro ruote, il quad. L’urto forte con la vettura la sbalza in aria, un volo di dieci metri, giù per un burrone. In ospedale le condizioni di Alessia non destano inizialmente preoccupazioni, solo dopo qualche ora iniziano i primi problemi a cuore e polmoni dovuti alla rottura della valvola mitrale. I genitori, precipitatisi sull’isola, non possono far altro constatare le gravi carenze sanitarie. “Manca il cardiochirurgo, negli ospedali più attrezzati di Salonicco e Atene non ci sono posti liberi, diagnosi e terapie si dimostrano incomplete, o comunque non adeguate ad affrontare il caso” riferiscono il papà e la mamma di Alessia che decidono di riportare a Napoli la ragazza per affidarla a cure migliori.

Ma il ritorno in patria diventa una vera e propria odissea. Né la Farnesina, né la Protezione Civile, né tantomeno l’Aeronautica militare contattati dai signori Sicolo si mobilitano in loro aiuto. L’unica soluzione è pagare di tasca propria 14.500 euro per noleggiare un volo charter della compagnia Volitalia. La partenza fissata per venerdì slitta però di un giorno per colpa di “un ritardo nella preparazione dei report medici, richiesti dai rianimatori dell'aereo ai medici ospedalieri, convinti che un'ulteriore attesa avrebbe stabilizzato le condizioni cliniche ottenute con la nuova terapia”. Atterrati a Napoli, Alessia viene subito ricoverata all’ospedale San Paolo, ma le condizioni, a cinque giorni dall’incidente, sono già molto critiche. Viene perciò disposto il trasferimento d’urgenza al Monaldi per sottoporre la ragazza ad un’operazione di ricostruzione della valvola mitrale. Nonostante il buon esito dell’intervento, il cuore di Alessia smette di battere il 28 luglio.

Una settimana. Tanto è durata l’agonia di una giovane ragazza che da grande sognava di fare il medico, e che dalla malasanità è stata uccisa.

Enrica Raia

Per non dimenticare mai Filippo Rettino

http://www.primonumero.it/attualita/primopiano/articolo.php?id=5049

Morto per malasanita’: Verrecchia e Florio accusati di omicidio
Clamoroso epilogo dell’inchiesta sul decesso di Filippo Rettino: il manager della Asl regionale e l’ex commissario del Basso Molise indagati per omicidio volontario. Secondo la Procura le loro scelte aziendali impedirono al Vietri di scongiurare la morte di un paziente che doveva essere ricoverato in un reparto di rianimazione che non è mai stato aperto.

Sergio Florio e Mario Verrecchia, rispettivamente direttore generale della Asrem ed ex commissario straordinario della Asl di Termoli-Larino, avevano il potere e il dovere di aprire il centro di Rianimazione dell’ospedale Vietri, dove da dieci anni (e ancora oggi) si opera in un regime di illegalità mettendo in pericolo la vita dei pazienti. Non l’hanno fatto, pur consapevoli dei rischi ai quali questo “comportamento omissivo” ha esposto e continua a esporre i malati.
Sarebbero dunque responsabili, entrambi, della morte di Filippo Rettino, pensionato 75enne che proprio a causa della indisponibilità di un letto in rianimazione è deceduto il 20 gennaio 2006.

Questo, secondo la Procura della Repubblica di Larino, l’assunto accusatorio alla base della informazione di garanzia arrivata ai due manager in questi giorni, al termine delle indagini sul decesso del pensionato di Larino, concentrate attorno alla Rianimazione del Vietri, mai attivata nonostante il reparto sia collegato funzionalmente alla chirurgia, alla ginecologia e agli altri reparti dove si effettuano interventi chirurgici. In pratica – lo dice la legge - se non c’è l’uno non può esserci nemmeno l’altro.

L’ipotesi di reato formulata dagli inquirenti a carico di Sergio Florio e Mario Verrecchia non è il solito “abuso d’ufficio” ma uno dei più gravi capi d’imputazione: l’omicidio. E non omicidio colposo, quello cioè che prevede una colpa per negligenza, sciatteria, distrazione o incapacità gestionale. No. E’ omicidio volontario. I due vertici della sanità regionale sarebbero i responsabili materiali della morte del pensionato, avvenuta in ambulanza la notte tra il 19 e 20 gennaio 2006. Una morte che, secondo il medico legale che ha fatto la perizia in base all’autopsia e alla ricostruzione del travaglio dell’uomo, si sarebbe potuta evitare se solo a Larino avesse funzionato quel reparto pronto dal 2000, ma mai attivato per scelte gestionali che vedono proprio in Florio e Verrecchia i referenti amministrativi delle decisioni su tutti i reparti. La vicenda di Filippo Rettino è nota: operato d’urgenza dai medici del Vietri per un aneurisma addominale causato dallo shock seguito alla morte della moglie, aveva bisogno della terapia intensiva dopo l’intervento chirurgico, perfettamente riuscito.
Ma al Vietri la rianimazione di fatto non esiste, a dispetto della targhetta che l’annuncia. Ci sono i macchinari, sofisticati e perfettamente funzionanti, i ventilatori e i monitor: tutto avvolto nel cellophane, mai usato dal febbraio 2000. Rettino sarebbe dovuto essere stato trasferito nella rianimazione più vicina, cioè al San Timoteo di Termoli. Ma non è stato accettato. A San Severo non c’era posto, e fu dirottato nell’unico reparto disponibile, quello di Foggia. Un viaggio troppo lungo, evidentemente, per un uomo in condizioni critiche. Un viaggio che infatti terminò cadavere alle 4.40 della notte.

Ora, raccolte le deposizioni, sentiti i medici e i familiari, accertata la ricostruzione di quella notte, acquisite le perizie e rimessa insieme l’incredibile storia del reparto fantasma di Larino, arriva la conclusione delle indagini con due ipotesi di reato a carico di Florio e Verecchia: interruzione di pubblico servizio e, soprattutto, omicidio volontario. Pur non avendo avuto il proposito di uccidere Rettino, i due – per l’accusa - erano coscienti che l’assenza della rianimazione, conseguenza delle loro scelte aziendali nonostante le tante richieste e i solleciti dei medici, avrebbe potuto innescare un’alta probabilità di morte fra i pazienti. Hanno accettato il rischio, pertanto, e sono responsabili della morte di Rettino.

La Procura, che attraverso la Guardia di Finanza ha condotto una complessa indagine in seguito alla denuncia dei familiari, stabilisce un collegamento preciso tra la mancata attivazione della rianimazione e un disegno più esteso: sarebbero stati messi in campo – dice - comportamenti, omissioni, propositi e condotte gestionali finalizzati a creare un reale disagio per i pazienti del Vietri per perseguire il progetto di ridimensionamento strutturale dell’ospedale di Larino. Come dire che Florio e Verecchia, entrambi espressione politica del vertice regionale, hanno accettato di essere lo strumento del disegno che mirava a penalizzare il nosocomio frentano a vantaggio anche del San Timoteo di Termoli, all’epoca dei fatti regno pressoché incontrastato dei coniugi De Palma-Di Giandomenico, così come si ipotizza, col supporto di intercettazioni e risultati d’indagine, nell’inchiesta Black Hole sui legami tra sanità e politica.

Il ragionamento degli inquirenti si basa su quello che nel diritto si chiama ‘rischio accettato’. In pratica, se si ammette che esiste un rischio (e lo si valuta) si ha piena contezza delle conseguenze cui si va incontro. Conseguenze che contemplano anche – in questo caso - il decesso dei pazienti. E il rischio Florio l’aveva calcolato, come lui stesso scrive nero su bianco nell’aprile 2008, dopo il sequestro della rianimazione al Vietri, quando invita il direttore sanitario del nosocomio a «voler dare disposizioni affinché nel Vietri vengano svolte solo le attività compatibili con l’attuale organizzazione», cioè con la mancanza del reparto di anestesia e rianimazione, confermando di fatto che per quasi dieci anni, fino alla morte di Rettino appunto, nell’ospedale Vietri si era operato in violazione della legalità (che impone la presenza della rianimazione laddove esiste un reparto di chirurgia) e sostanzialmente mettendo in pericolo di vita i pazienti.

Quella prospettata dal Pm Nicola Magrone è una visione giuridica abbastanza inedita, che tuttavia negli ultimi tempi vede dei procedenti importanti in Italia. A partire dal caso Thyssenkroup di Torino, teatro di un tragico incidente che costò la vita a sei operai. I dirigenti delle acciaierie torinesi sono attualmente sotto processo per “omicidio volontario” proprio perché con i loro comportamenti omissivi non dotarono lo stabilimento degli adeguati strumenti per prevenire incidenti.

E’ dunque una bomba giudiziaria quella esplosa al massimo livello della sanità molisana, che sta attraversando una fase critica e vede i nodi arrivare al pettine, gradualmente ma in maniera inesorabile, dopo i disastri del passato. Ma è anche una bomba sociale dall’impatto fortissimo e dai risvolti angoscianti.

L’inchiesta, sulla quale ora dovranno riflettere e valutare i giudici, ai quali spetta l’ultima parola sul caso, segna comunque una svolta decisiva inchiodando i manager della sanità alle loro specifiche responsabilità. Indipendentemente dal percorso giudiziario che seguirà la vicenda, resta la considerazione che fra i tanti mali della sanità molisana, favoriti e amplificati da dirigenti lautamente retribuiti con il denaro collettivo, non ci sono solo clientelismo, corruzione e raccomandazioni, ma scelte e omissioni determinanti per la vita (e la morte) dei pazienti.

L’ex manager della Asl di Termoli-Larino Mario Verrecchia, interpellato al telefono, non se la sente di rilasciare dichiarazioni: «Qualsiasi mio commento allo stato attuale non sarebbe possibile perché non c’è parità di rapporti tra un normale cittadino indagato e i magistrati inquirenti». Non è stato invece possibile parlare con il direttore generale Sergio Florio, in procinto di abbandonare il vertice della sanità per passare – come da indiscrezioni – al vertice di Molise Acque.

LINK
La rianimazione del Vietri: storia di un reparto fantasma


(Pubblicato il 27/03/2009)

Per non dimenticare mai Giuseppe Sarchione

http://www.primonumero.it/attualita/primopiano/articolo.php?id=5386

Morte al Vietri, si indaga per omicidio. Sequestrati gli atti
Ci sono i nomi di alcuni indagati sul registro della Procura in seguito al decesso di Giuseppe Sarchione, termolese 80enne morto per complicanze post operatorie dopo un intervento di routine in oculistica. Gli inquirenti stanno verificando i riscontri al drammatico racconto della famiglia, che ha evidenziato carenze e ritardi nei soccorsi. Acquisita la cartella clinica, che secondo indiscrezioni sarebbe vuota. Intanto sono concluse le indagini sul decesso di Filippo Rettino, anche lui deceduto al Vietri di Larino. Avvisi di conclusione notificati ai due indagati per omicidio volontario: Sergio Florio e Mario Verrecchia.

Larino. La morte di Giuseppe Sarchione, 80 anni di Termoli, come quella di Filippo Rettino, 75 anni di Larino? Entrambi pensionati, entrambi bisognosi di un intervento ospedaliero. Entrambi ricoverati al Vietri. Entrambi morti.
Ma c’è anche un’altra cosa che accomuna due casi di presunta malasanità all’apparenza indipendenti e clinicamente dovuti a cause diverse. Ed è l’iscrizione sul registro degli indagati di alcune persone con l’accusa di omicidio.
La Procura di Larino non dice nulla, sul punto. L’inchiesta, scattata subito dopo la denuncia dei parenti dell’anziano termolese, è come si dice in questi casi “avvolta nel riserbo”. Quello che tuttavia è emerso – e del resto è una procedura doverosa - è che i nomi di medici e non solo sono stati scritti nero su bianco sul registro degli indagati. Accanto all’ipotesi di reato di omicidio. Non si sa se si tratti di omicidio volontario – come ipotizzato per l’ex direttore generale Sergio Florio e per l’ex manager della Asl Basso Molise Mario Verrecchia in riferimento alla morte di Rettino – oppure omicidio colposo, dovuto a negligenze e inosservanze.


Per definire il reato si aspetta anche di conoscere i risultati dell’esame autoptico al quale è stato sottoposto lunedì pomeriggio Giuseppe Sarchione, che la famiglia e gli amici hanno salutato per l’ultima volta ieri – martedì – nella chiesa di San Timoteo. Gli inquirenti, coordinati dal sostituto procuratore Arianna Armanini, hanno acquisito gli atti opsedalieri, fra i quali la cartella clinica. Che secondo indiscrezioni trapelate negli ambienti di Palazzo di Giustizia è vuota. Nessuna nota sulle condizioni cliniche di Giuseppe Sarchione, niente circa le precedenti malattie, le patologie in atto, la diagnosi, le eventuali allergie ai farmaci e nessun riferimento nemmeno al fatto che il paziente, sottoposto a un intervento ambulatoriale all’occhio per un pterigio (piccola escrescenza che a lungo andare avrebbe potuto compromettere la vista) aveva un bypass cardiaco.


L’indagine verte sulla tempistica e le modalità del trattamento post operatorio, per il quale i familiari hanno denunciato molteplici carenze. Si cercano riscontri al drammatico racconto dei parenti, che hanno riferito agli stessi carabinieri come il medico che ha operato Giuseppe Sarchione sia andato via una volta terminato l’intervento col laser, prima delle dimissioni dell’anziano. E ancora, si cerca di accertare se e perché la mascherina dell’ossigeno non funzionava correttamente, come mai il defibrillatore non era immediatamente disponibile e aveva bisogno di essere prelevato da “un’addetta”, e come mai i soccorsi hanno tardato tanto (circa mezz’ora dopo i primi sintomi di difficoltà respiratorie, in base a quello che la famiglia ha raccontato). Ma si indaga anche, e non potrebbe essere altrimenti, sulla mancata attivazione del letto di terapia intensiva che al Vietri di Larino che, a giudicare da quanto ammesso in più occasioni dagli stessi medici, non è mai stato funzionante. Ancora una volta, come già accaduto per la morte di Filippo Rettino, la mancata apertura della Rianimazione, costata 500mila euro ma mai uscita dal cellophane, potrebbe essere corresponsabile del decesso. Gli investigatori, col supporto dei risultati dell’autopsia, dovranno rispondere a quella che sembra essere la più delicata delle domande: perché al Vietri di Larino si effettuano interventi chirurgici su pazienti a rischio in assenza di un parametro di sicurezza imprescindibile come appunto la Rianimazione? A chi vanno addebitate le responsabilità di una simile situazione?


Il Procuratore capo Nicola Magrone, che si è occupato direttamente dell’inchiesta sulla morte di Filippo Rettino, ha ritenuto che responsabili del decesso del pensionato di Larino sono state le scelte aziendali che impedirono di aprire la Rianimazione al Vietri. Scelte che vanno ascritte ai presunti comportamenti omissivi di Segio Florio e Mario Verrecchia, entrambi indagati per omicidio volontario. Il secondo, l’ex manager della Asl Basso Molise, ha chiesto di incontrare il Procuratore Magrone, che l’ha ascoltato negli uffici frentani. Risale a pochi giorni fa la notifica a loro carico della conclusione delle indagini preliminari. A breve seguirà la richiesta di rinvio a giudizio. E’ evidente che il ragionamento incentrato su quello che in gergo si chiama “rischio calcolato” e l’esito dell’inchiesta su un episodio di malasanità sul quale dovranno pronunciarsi i giudici crea un precedente importante nella storia dell’ospedale Vietri e in generale della sanità molisana.

(Pubblicato il 01/07/2009)

Per non dimenticare mai Donatella Della Mora..55 anni

http://www.oggitreviso.it/diagnosi-sbagliata-ginecologo-accusato-di-omicidio-colposo-14647

DIAGNOSI SBAGLIATA: GINECOLOGO ACCUSATO DI OMICIDIO COLPOSO
La paziente morì a causa di un cancro all'utero


Vittorio Veneto – Un cancro all’utero scambiato per menopausa e Donatella Della Mora, per anni titolare del negozio di dischi al Quadrilatero, morì a 55 anni.

Nel 2002 si era rivolta a un ginecologo a causa di alcuni disturbi preoccupanti, dolori all’addome, stanchezza e perdite di sangue, e un po’ di paura: nella sua famiglia c’erano già stati casi di tumore.
Ma il medio che la visitò la tranquillizzò: si trattava solo di fastidi legati alla menopausa e polipi, una patologia curabile con una cura ormonale. Quattro anni dopo Donatella Della Mora si spense, uccisa da un tumore all’utero.

Un errore grave quello del ginecologo, che sottovalutò i sintomi e sbagliò la diagnosi: ora è accusato di omicidio colposo e lesioni gravi. La Procura di Belluno, provincia nella quale il medico pratica la professione, ne ha chiesto il rinvio a giudizio.
L’udienza preliminare è stata fissata per il 26 maggio.

Secondo l’accusa il professionista è responsabile della morte della donna, alla quale il tumore venne diagnosticato solo nel 2005 dopo un ricovero all’ospedale di Vittorio Veneto, perché non aveva prescritto per le sua paziente esami specialistici, per negligenza, per aver sottovalutato anche quelli che lui considerava semplici polipi.

Per Non Dimenticare Mai Giampiero Malabaila

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Genova/ A giudizio il medico di Chiavari Mauro Amisano: la sua dieta di farmaci avrebbe fatto morire Giampiero Malabaila, per un attacco di cuore

Il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Chiavari ha rinviato a giudizio il medico chiavarese Mauro Amisano, sospettato di aver prescritto una dieta a base di farmaci all’imprenditore sarzanese Giampiero Malabaila, morto nel novembre del 2006 per un attacco di cuore.

Il professionista di Chiavari dovrà difendersi dall’accusa di omicidio colposo: la procura chiavarese sostiene che esista una correlazione tra i medicinali prescritti e l’arresto cardiaco. La difesa ribatte che nell’organismo della vittima non furono trovate tracce di medicinali.

La prima udienza del processo è stata fissata per il 17 novembre, di fronte al giudice Roberto Pasca. Giampiero “Chicco” Malabaila morì il 17 novembre del 2006 sulla corsia sud dell’A12. Stava rientrando a Sarzana da Firenze dove si era recato per assistere alla cerimonia in memoria di suo fratello, deceduto dieci anni prima. All’altezza del casello di Massa, l’imprenditore fu colpito da infarto, riuscì ad accostare l’auto, ma quando arrivarono i soccorsi era già morto.