venerdì 14 agosto 2009

Per non dimenticare mai Filippo Rettino

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Morto per malasanita’: Verrecchia e Florio accusati di omicidio
Clamoroso epilogo dell’inchiesta sul decesso di Filippo Rettino: il manager della Asl regionale e l’ex commissario del Basso Molise indagati per omicidio volontario. Secondo la Procura le loro scelte aziendali impedirono al Vietri di scongiurare la morte di un paziente che doveva essere ricoverato in un reparto di rianimazione che non è mai stato aperto.

Sergio Florio e Mario Verrecchia, rispettivamente direttore generale della Asrem ed ex commissario straordinario della Asl di Termoli-Larino, avevano il potere e il dovere di aprire il centro di Rianimazione dell’ospedale Vietri, dove da dieci anni (e ancora oggi) si opera in un regime di illegalità mettendo in pericolo la vita dei pazienti. Non l’hanno fatto, pur consapevoli dei rischi ai quali questo “comportamento omissivo” ha esposto e continua a esporre i malati.
Sarebbero dunque responsabili, entrambi, della morte di Filippo Rettino, pensionato 75enne che proprio a causa della indisponibilità di un letto in rianimazione è deceduto il 20 gennaio 2006.

Questo, secondo la Procura della Repubblica di Larino, l’assunto accusatorio alla base della informazione di garanzia arrivata ai due manager in questi giorni, al termine delle indagini sul decesso del pensionato di Larino, concentrate attorno alla Rianimazione del Vietri, mai attivata nonostante il reparto sia collegato funzionalmente alla chirurgia, alla ginecologia e agli altri reparti dove si effettuano interventi chirurgici. In pratica – lo dice la legge - se non c’è l’uno non può esserci nemmeno l’altro.

L’ipotesi di reato formulata dagli inquirenti a carico di Sergio Florio e Mario Verrecchia non è il solito “abuso d’ufficio” ma uno dei più gravi capi d’imputazione: l’omicidio. E non omicidio colposo, quello cioè che prevede una colpa per negligenza, sciatteria, distrazione o incapacità gestionale. No. E’ omicidio volontario. I due vertici della sanità regionale sarebbero i responsabili materiali della morte del pensionato, avvenuta in ambulanza la notte tra il 19 e 20 gennaio 2006. Una morte che, secondo il medico legale che ha fatto la perizia in base all’autopsia e alla ricostruzione del travaglio dell’uomo, si sarebbe potuta evitare se solo a Larino avesse funzionato quel reparto pronto dal 2000, ma mai attivato per scelte gestionali che vedono proprio in Florio e Verrecchia i referenti amministrativi delle decisioni su tutti i reparti. La vicenda di Filippo Rettino è nota: operato d’urgenza dai medici del Vietri per un aneurisma addominale causato dallo shock seguito alla morte della moglie, aveva bisogno della terapia intensiva dopo l’intervento chirurgico, perfettamente riuscito.
Ma al Vietri la rianimazione di fatto non esiste, a dispetto della targhetta che l’annuncia. Ci sono i macchinari, sofisticati e perfettamente funzionanti, i ventilatori e i monitor: tutto avvolto nel cellophane, mai usato dal febbraio 2000. Rettino sarebbe dovuto essere stato trasferito nella rianimazione più vicina, cioè al San Timoteo di Termoli. Ma non è stato accettato. A San Severo non c’era posto, e fu dirottato nell’unico reparto disponibile, quello di Foggia. Un viaggio troppo lungo, evidentemente, per un uomo in condizioni critiche. Un viaggio che infatti terminò cadavere alle 4.40 della notte.

Ora, raccolte le deposizioni, sentiti i medici e i familiari, accertata la ricostruzione di quella notte, acquisite le perizie e rimessa insieme l’incredibile storia del reparto fantasma di Larino, arriva la conclusione delle indagini con due ipotesi di reato a carico di Florio e Verecchia: interruzione di pubblico servizio e, soprattutto, omicidio volontario. Pur non avendo avuto il proposito di uccidere Rettino, i due – per l’accusa - erano coscienti che l’assenza della rianimazione, conseguenza delle loro scelte aziendali nonostante le tante richieste e i solleciti dei medici, avrebbe potuto innescare un’alta probabilità di morte fra i pazienti. Hanno accettato il rischio, pertanto, e sono responsabili della morte di Rettino.

La Procura, che attraverso la Guardia di Finanza ha condotto una complessa indagine in seguito alla denuncia dei familiari, stabilisce un collegamento preciso tra la mancata attivazione della rianimazione e un disegno più esteso: sarebbero stati messi in campo – dice - comportamenti, omissioni, propositi e condotte gestionali finalizzati a creare un reale disagio per i pazienti del Vietri per perseguire il progetto di ridimensionamento strutturale dell’ospedale di Larino. Come dire che Florio e Verecchia, entrambi espressione politica del vertice regionale, hanno accettato di essere lo strumento del disegno che mirava a penalizzare il nosocomio frentano a vantaggio anche del San Timoteo di Termoli, all’epoca dei fatti regno pressoché incontrastato dei coniugi De Palma-Di Giandomenico, così come si ipotizza, col supporto di intercettazioni e risultati d’indagine, nell’inchiesta Black Hole sui legami tra sanità e politica.

Il ragionamento degli inquirenti si basa su quello che nel diritto si chiama ‘rischio accettato’. In pratica, se si ammette che esiste un rischio (e lo si valuta) si ha piena contezza delle conseguenze cui si va incontro. Conseguenze che contemplano anche – in questo caso - il decesso dei pazienti. E il rischio Florio l’aveva calcolato, come lui stesso scrive nero su bianco nell’aprile 2008, dopo il sequestro della rianimazione al Vietri, quando invita il direttore sanitario del nosocomio a «voler dare disposizioni affinché nel Vietri vengano svolte solo le attività compatibili con l’attuale organizzazione», cioè con la mancanza del reparto di anestesia e rianimazione, confermando di fatto che per quasi dieci anni, fino alla morte di Rettino appunto, nell’ospedale Vietri si era operato in violazione della legalità (che impone la presenza della rianimazione laddove esiste un reparto di chirurgia) e sostanzialmente mettendo in pericolo di vita i pazienti.

Quella prospettata dal Pm Nicola Magrone è una visione giuridica abbastanza inedita, che tuttavia negli ultimi tempi vede dei procedenti importanti in Italia. A partire dal caso Thyssenkroup di Torino, teatro di un tragico incidente che costò la vita a sei operai. I dirigenti delle acciaierie torinesi sono attualmente sotto processo per “omicidio volontario” proprio perché con i loro comportamenti omissivi non dotarono lo stabilimento degli adeguati strumenti per prevenire incidenti.

E’ dunque una bomba giudiziaria quella esplosa al massimo livello della sanità molisana, che sta attraversando una fase critica e vede i nodi arrivare al pettine, gradualmente ma in maniera inesorabile, dopo i disastri del passato. Ma è anche una bomba sociale dall’impatto fortissimo e dai risvolti angoscianti.

L’inchiesta, sulla quale ora dovranno riflettere e valutare i giudici, ai quali spetta l’ultima parola sul caso, segna comunque una svolta decisiva inchiodando i manager della sanità alle loro specifiche responsabilità. Indipendentemente dal percorso giudiziario che seguirà la vicenda, resta la considerazione che fra i tanti mali della sanità molisana, favoriti e amplificati da dirigenti lautamente retribuiti con il denaro collettivo, non ci sono solo clientelismo, corruzione e raccomandazioni, ma scelte e omissioni determinanti per la vita (e la morte) dei pazienti.

L’ex manager della Asl di Termoli-Larino Mario Verrecchia, interpellato al telefono, non se la sente di rilasciare dichiarazioni: «Qualsiasi mio commento allo stato attuale non sarebbe possibile perché non c’è parità di rapporti tra un normale cittadino indagato e i magistrati inquirenti». Non è stato invece possibile parlare con il direttore generale Sergio Florio, in procinto di abbandonare il vertice della sanità per passare – come da indiscrezioni – al vertice di Molise Acque.

LINK
La rianimazione del Vietri: storia di un reparto fantasma


(Pubblicato il 27/03/2009)

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